Essere diverso, 1 dono o maledizione?

Quando vogliamo rivendicare la nostra bravura ci teniamo alla nostra unicità ma stiamo alla larga da chi riteniamo una persona “troppo” diversa. Eppure del diverso si parla spesso, ma è un dono o una maledizione? Spesso accettare l’unicità di un essere diverso sembra una missione impossibile.

Tribù sulle strade

La situazione peggiore accade quando si precipita nella diversità della rassegnazione. Ad uno stato in cui comprare un po’ di alcool ha la meglio sui pochi spiccioli. Per scaldarsi o per non dover pensare, almeno per poco, ma non dover pensare. Sono i diversi delle tribù della strada, i senzatetto, che significa senza tutto.

Si possiede quello che si riesce a portare con sé nella sopravvivenza, in situazioni che sarebbero inaccettabili per chi una casa ce l’ha. Ma questa è solo una parte di una catena di rinunce da dover sopportare quando si diventa una persona sgradevolmente diversa.

Si finisce per far parte delle tribù della strada, fantasmi dentro una società che fa finta di non vederli. Perché non lavorano, non producono, sono sporchi, puzzano e chiedono monete, qualcosa da mangiare. Hanno perso la vergogna insieme alla dignità, perché non li vuole nessuno. La carità mette una toppa al problema dei reietti della società.

Essere diverso, 1 dono o maledizione?

Pure le associazioni sono arrivate a non passarsela bene dopo il Covid. Tante hanno dovuto interrompere la loro attività e quelle che sono riuscite a riaprire, con possibilità dimezzate, hanno trovato le problematiche oltre che raddoppiate.

Aggregazione dei simili

Sul territorio sono presenti gli emigrati, spesso estranei alla creazione di legami culturali. Se in alcuni stati si applica il dovere di un emigrato a partecipare ad un programma d’integrazione, ci sono posti dove avviene a malapena.
Nonostante l’emigrato regolare usufruisca del privilegio di essere un cittadino, perché ha un lavoro, manda i figli a scuola, in Italia ha la sanità pubblica e magari una casa assegnata dal comune, si aggrega solo o quasi in esclusiva ai suoi “etnicamente simili”.

Socialmente accade che siano i “nativi” a essere rifiutati come amici o partner nella vita. Parlando del razzismo come piaga dell’umanità è giusto rilevare l’esistenza del razzismo “al contrario”. Se da una parte gli emigrati accettano di lavorare per un “essere diverso”, dall’altra lo trovano inaccettabile per approfondire e coltivare una conoscenza. Di conseguenza sbarrano, anche loro, la possibilità di essere conosciuti a loro volta e di poter essere compresi nelle loro abitudini diverse.

L’arte dell’essere diverso

Il tempo è diventato una componente veloce che con minimi sforzi vuole ottenere massimi risultati. Le operazioni di recupero si considerano troppo lunghe. Ci sono ancora pochissime realtà, come le case del quartiere, che lavorano per l’aggregazione creando eventi che valorizzano l’unicità e la creatività.

Negli ultimi anni si sta sempre di più parlando dell’inclusività, ma a parte i cast internazionali nel mondo del cinema, nella vita reale si scorge ancora poco. Trovare buoni esempi è difficile.

Essere diverso, 1 dono o maledizione?

Se parliamo dell’arte, da sempre precorritrice di idee per il futuro, in Italia siamo legati alla visione dell’arte antica come unica degna di rispetto. L’arte contemporanea è considerata qualcosa al di fuori della vita reale.

Essere diverso è un dono

Stare dalla parte opposta dei dannati non significa essere benedetti. Avere una diversità che viene considerata un dono a volte la fa percepire come superiorità, con risvolti come il bullismo. O il vivere in isolamento, per chi coltiva degli interessi complessi.

Per scoprire quanto sia difficile anche la vita delle persone che hanno un dono, bisogna leggere libri o attingere da biografie di film attinenti.
Per quanto la cinematografia biografica sia diventata popolare, una volta finita la proiezione, l’interesse considerato mero intrattenimento svanisce dopo poco. Oltre a parlarne in gruppi, sempre blindati negli obiettivi comuni, esseri meritevoli sembra una rarità e la divulgazione dei meriti non è proprio la componente forte del genere umano.

Infatti mi piacerebbe poter leggere i numeri di persone in risalita. Come quelle guarite dal virus, i dati dei senzatetto che intraprendono un percorso per uscire dal degrado e di coloro che lo completano. Leggere, e ancora leggere, articoli che trattano le unicità e le qualità, indipendentemente dalla loro entità, affinché possano ispirare, educare, comprendere ed essere compresi.

Essere diverso, 1 dono o maledizione?

Noi umani ce lo diciamo di dover cambiare, innalzare la nostra umanità e seguire i valori. Evitare di sfruttare il lavoro giovanile, di non riconoscere le capacità dei giovani, di combattere la tratta degli umani e lo schiavismo che ci portiamo dietro da secoli. Quanta vergogna nel significato “essere umano”, quanti autogol all’intelligenza… vivere con il sogno dell’eternità e sprecare il tempo che veramente abbiamo a disposizione.

Essere diverso

Gli indigeni risolvevano i problemi della specie umana mischiando diverse tribù. Osservavano la natura delle cose e vivono così, seppur ormai in pochi, fino ai giorni nostri.

Potrà suonare semplificato ma com’è quest’ultima “moda” umana di tornare a vivere rispettando la natura? Ci passerà, oppure ci distinguerà? Forse ormai siamo troppo divisi, tra persone fragili da una parte e i più forti, posti in alto? Quelli che ascolteranno le richieste e quelli che le ignoreranno? Quelli che si metteranno a guidare e quelli che si siederanno dietro? Abbiamo paura dell’intelligenza artificiale e stiamo partecipando al fenomeno di ignorarci nel nostro stesso vicinato.

«Ho attraversato un deserto, sono scappato mentre sentivo dietro le mie spalle gli spari, ho perso un amico che non è sopravvissuto alla traversata in mare e adesso spaccio per poter vivere, condividere una stanza con altri dieci, chi sei tu per venirmi a dire cos’è sbagliato?»

Essere diverso, 1 dono o maledizione?

Slegarsi dalla nazione in cui si vive o sopravvive, che sia per una caduta o con l’intenzione di starsene in disparte, è una chiara assenza. Persone escluse dalla comunità a causa della negazione di una conoscenza approfondita.

Progetto europeo

Ma vogliamo finire con una speranza per chi crede nell’unione legata dagli accordi. Finalmente è arrivato un progetto concreto dall’Unione Europea: “Dare un tetto a tutti non è carità. È giustizia sociale” allo scopo di non avere più persone senza tetto entro il 2030.

– Il primo premio è andato al progetto #HousingFirst della Repubblica Ceca,
– il secondo al progetto “É Uma Mesa” del Portogallo
– e il terzo premio al progetto di Housing sociale di Trieste.

Questa è una buona notizia, l’Unione Europea ci ha messo i quattrini, ci sarebbe da aspettarsi che le iniziative si allarghino a tutta la comunità. Come quando Ronald Wilson Reagan disse a Michail Gorbačëv di “abbattere quel muro” realizzando un cambiamento e concludendo la parte dell’Europa non democratica. Suona simile l’invito di smetterla di guardare altrove e di abbattere la diversità tra le persone che hanno una casa e quelle che non sanno dove dormire.

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Categorie: Emozioni
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