emigrato per sempre

Se dicono che il mondo è tutto uguale, che scopo hai tu venendo qui? Fare un emigrato, per sempre?

Un essere umano che decide di partire di solito ha uno scopo davanti a sé. Parte dalla terra che conosce e spera, crede di raggiungere la sua motivazione. E sa benissimo che potrebbe non riuscirci, in più ha da temere il nuovo, lo sconosciuto, ma ha deciso.

Di certo l’ultima cosa che gli serve è trovare delle domande che lo facciano sentire un essere diverso, un intruso chiaramente indesiderabile, da cui stare alla larga. Le persone, certo non tutte, trovano l’emigrazione inutile, senza scopo, e la contrastano. Oppure, stancati, inclini all’arrendevolezza assumono l’atteggiamento flessibile e accomodante affinché non tornino le forze per osteggiare.

Emigrato per sempre

Eppure, accondiscendere cosa? L’emigrazione è una parte costante nella vita umana, tanto quanto il bisogno di cibo. Le persone si spostano da sempre, e hanno vissuto una vita nomade per seguire il cibo, che continua a non essere alla portata di tutti. Nella civilizzazione umana non è per tutti neanche il benessere. Allora perché l’uomo dovrebbe perdere l’abitudine di spostarsi per ottenere quello che gli occorre per vivere, per stare bene, meglio?

Anche se essere quello di emigrante è uno status che non si perde più? Perché una volta che si diventa, lo si resta. Un emigrato è sempre per sempre. Un emigrato non è di qua.

Senza scopo

La peggiore condizione è l’emigrazione senza scopo. Quando non si decide, né si desidera, né si può preparare. Bisogna solo raggiungere la salvezza della vita, qualsiasi, un rifugio.

E poi ci sono emigrazioni per raggiungere quello che per altri è normalità ma in alcuni posti è un lusso, da sognare.

“Non può farlo a casa sua?”. È una di quelle solite domande.
Potrebbe, ma magari diversi motivi, anche il sistema politico di alcune nazioni, impediscono la crescita degli individui o la burocrazia è troppo pesante per la nuova imprenditoria.

Il loro comportamento, l’approccio con qualcuno di diverso, è ritenerlo automaticamente pericoloso. L’unica possibilità di avvicinamento sta nel caso di un fallimento, una tragedia. Allora il diverso può sentire la partecipazione altrui nell’acquiescente parola “poverino”. Però non è un perdono, è una temporale sospensione della pena, finché il diverso non si riprende e ricomincia a lottare per il suo domani migliore. Tornerà ad essere il solito emigrato per sempre.

Tutti esuli

Considerando le emigrazioni moderne non dovrebbe essere difficile trovare degli emigrati in ogni famiglia. Dal Sud al Nord, dall’Est all’Ovest, per lavoro, per amore, per motivi gravosi, per la mancanza di quel qualcosa che serve per raggiungere la propria felicità. Cercare o dover seguire quel qualcosa in più.
Non è questa la natura umana?
Allora perché non emigrare senza un bisogno vitale? Solamente perché si decide di andare altrove, senza un particolare scopo? Perché considerarlo solo un emigrante per sempre?

Spostamenti imprevisti

Si emigra anche “solo” da un paesino verso la città. I ragazzi che per lo studio si trasferiscono lontano dalla loro casa di fatto emigrano in un contesto nuovo e spesso diventa un’opportunità per un’altra emigrazione. Crescono, vogliono di più. Nessuno li costringe ma è solo così che riescono a seguire la strada dell’indirizzo che hanno intrapreso per il loro futuro. Solo così riescono a dare un senso ai sacrifici, loro e dei genitori.

Per esempio, i lavoratori pendolari? Si spostano per raggiungere un impiego, ogni giorno, per trascorrere un’intera giornata distanti dalla loro casa, anche oltre la frontiera, lasciando il loro tempo nelle immense ore di trasporto. Vivono parzialmente in ognuno dei contesti. La loro vita personale ne risente certamente. Questo scopo dovrebbe essere più sensato?

emigrato per sempre

Diverso accentuato

Come per gli emigrati da un altro stato, anche un italiano che si sposta di poche decine o centinaia di chilometri deve affrontare le problematiche dell’inserimento in un nuovo contesto sociale. E questo a volte diventa un problema, per gli stessi italiani.
Trovarsi in un paese con una mentalità chiusa, con gli abitanti abituati a conoscersi solo tra di loro che fanno fatica ad abituarsi ai nuovi arrivati e li classificano come intrusi. Se poi hanno un accento diverso:
Cosa mai saranno venuti a fare qui e che cosa vorranno da noi?
Il diverso continua essere un problema.

Di certo, mentre parte, un emigrato in erba, con o senza scopo, se lo chiede lui stesso. Come sarà la mia vita? Riuscirò a trovare la mia felicità?
Potrebbe domandarselo lui stesso, se avrà fatto bene. Dopo tanti anni trovare perfino una risposta dolorosa, di non aver trovato la sua felicità. Ma questo può capitare a tutti, cercare un sogno e doversi accontentare o reinventarsi in un altro.
La questione rimane: perché si chiede ad un essere diverso perché sia venuto? Perché si chiama emigrato per sempre?

Paura

Forse perché un “nativo” nel suo profondo teme che la sua terra non sia quella “promessa”? Perché la qualità delle condizioni di vita che trovano gli espatriati non è delle migliori? Perché lui stesso non le reputa tali?

Forse sarà anche evidente che si viene per vivere meglio e, se è questo che la mia patria esprime, dovrebbe produrre orgoglio potersi sentire tanto fortunati da vivere in un paese che per le altre persone risulta “un’America”. Forse le domande considerate stupide in realtà sono un grido di dolore?

Casa

Casa è un luogo dove si nasce, dove si sentono i suoni della lingua che avrà la sua importanza, essere la prima, e dove per primo si conoscerà il significato del calore del simile. Dove tante cose accadono per la prima volta.

Prima che si debba o si decida di partire, affrontare una rinascita, per poter ritrovare il calore del vicino nella lingua nuova, nel condividere le esperienze, sentirsi a casa senza l’etichetta “emigrato per sempre”.
Dove creare nuovi legami umani e sentirsi di nuovo a casa.

Categorie: Emozioni
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